giovedì 3 settembre 2015

La banca paga i danni se nega senza ragione il mutuo promesso (Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2015)




Tribunale Messina. Buona fede violata

di Antonino Porracciolo
Tiene una condotta contraria a buona fede la banca che, senza una valida ragione, interrompe le trattative con il privato che chiede la concessione di un mutuo.
In questo caso, il privato stesso ha diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa.
Sono le conclusioni di una sentenza del Tribunale di Messina (giudice Giuseppe Minutoli) dello scorso 29 giugno.
Un imprenditore aveva chiesto alla propria banca, nei cui confronti presentava una notevole esposizione dovuta all’utilizzo di fidi, l’erogazione di un mutuo per ripianare il debito; allo stesso tempo, la Regione siciliana aveva rilasciato all’uomo il nulla osta al conferimento di un contributo per far fronte a parte del passivo.



L’imprenditore e un dipendente della banca avevano avuto diversi incontri, ma nel novembre 2012 l’istituto intimava al cliente di pagare l’importo dovuto.
Così l’uomo ha chiesto la condanna della banca al risarcimento dei danni per la perdita del contributo regionale.
Dal canto suo, la convenuta ha sostenuto di aver negato il mutuo perché un altro istituto aveva segnalato l’imprenditore alla Centrale rischi della Banca d’Italia.
Nell’accogliere la domanda, il Tribunale osserva che la pretesa dell’attore va inquadrata nell’articolo 1337 del Codice civile, che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
Si tratta dell’obbligo di preservare gli interessi dell’altra parte, «sicché – afferma il Tribunale – dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere un danno risarcibile».
Ciò avviene, ad esempio, quando una parte interrompe senza un valido motivo le trattative già avanzate; o, ancora, non informa l’altra parte dell’esistenza di una causa di invalidità del contratto, così inducendola a confidare nella regolarità dell’accordo.
Nel caso esaminato, la banca convenuta aveva determinato nell’imprenditore «un legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contratto» di mutuo: ciò tenuto conto dell’«avanzata fase delle trattative» e degli «adempimenti richiesti e attuati» dallo stesso imprenditore.
Infatti, l’istituto aveva preteso dall’attore una relazione notarile sui suoi beni immobili offerti in garanzia, e poi, come confermato da un testimone, aveva avuto numerosi colloqui con il cliente.
Circostanze «tali da poter ingenerare, nel complesso, una legittima aspettativa sul buon esito dell’operazione».
Né – prosegue il giudice – l’interruzione delle trattative è giustificata dalla segnalazione alla Centrale rischi.
Tale circostanza, infatti, è «sganciata da ulteriori elementi che dimostrino, anche presuntivamente (ad esempio, per l’entità dell’ulteriore debito o per la scarsa patrimonializzazione), la dubbia solvibilità del richiedente».
Tanto più che, con la concessione del mutuo, la banca avrebbe sostituito il credito chirografario già vantato nei confronti dell’imprenditore «con altro credito di pari importo, ma maggiormente garantito sia da iscrizione ipotecaria prestata dal debitore che da contributo regionale sugli interessi».
Ragioni che giustificano la condanna al risarcimento del danno; l’importo è stimato in via equitativa in 25mila euro, pari al 10% della somma che l’imprenditore avrebbe ricevuto se le trattative fossero andate a buon fine.

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