Fonte: laleggepertutti.it
Recuperare un credito, di questi tempi, è un’impresa ardua: ma non per questo è lecito infrangere le regole poste a tutela della privacy del debitore. Su tale aspetto, invece, le società di recupero crediti hanno la “mano pesante”, spinte dall’esigenza di raggiungere gli “obiettivi di recuperato”. E così, spesso, le telefonate inoltrate al debitore, per convincerlo a saldare la morosità, lo raggiungono finanche sul posto di lavoro o a casa dei parenti. In questo caso, non c’è dubbio che viene violata la riservatezza del cittadino il quale ha il diritto a mantenere segreta la propria posizione debitoria nei confronti dei terzi, specie parenti e colleghi.
Sulla scorta di tali condivisibili principi, il Tribunale di Chieti [1] ha accolto il ricorso di un consumatore nei confronti sia della banca (titolare del credito) che della società di recupero. Troppo insistenti erano state le telefonate e i messaggi sul lavoro e a casa dei familiari, tanto da costringere l’interessato a dover fornire spiegazioni a parenti e amici. Secondo il giudice, in questi casi scatta il risarcimento del danno non patrimoniale. Tenuti all’indennizzo sono – sia alla banca: su di essa, infatti, grava l’obbligo di vigilare sull’operato di chi ha incaricato per recuperare i propri crediti – sia alla società di recupero: essa è infatti obbligata a verificare di poter utilizzare i numeri di telefono e le altre informazioni utili del debitore. Pertanto, se il cliente ha fornito alla banca solo alcuni numeri telefonici ove essere rintracciato, la società di recupero non può cercare di altri. Non solo. Le società di recupero crediti non possono contattare il debitore in orari irragionevoli, con frequenza superiore al dovuto.