mercoledì 7 ottobre 2015

Retroattiva la depenalizzazione dei reati fiscali

Buone notizie, dalla Cassazione, per i giocolieri delle norme tributarie: chi negli ultimi tempi ha commesso un’elusione fiscale e la sua posizione col fisco non è corretta e trasparente, non sarà più punito penalmente; e questo perché la condotta di chi, per risparmiare sulle tasse, pone in essere atti formalmente leciti ma che comportando un indebito vantaggio è stata depenalizzata a partire dallo scorso 1° ottobre 2015 [1].
 Tale riforma – ed è qui la parte più interessante – ha effetto retroattivo e si applica anche al passato: è questo un effetto del principio del “favor rei” il quale impone, nel caso di intervenuta abrogazione di una legge, che ai fatti passati si applichi la norma più favorevole nei confronti del colpevole.



Dunque, l’elusione fiscale (o come anche chiamata, l’abuso di diritto) non sarà più punita a prescindere dal momento in cui essa è stata compiuta. È quanto precisato dalla Cassazione con una sentenza di poche ore fa [1].   La pronuncia, che segue di pochi giorni la riforma appena entrata in vigore, segna un momento decisivo nei rapporti “fisco-contribuenti”, mettendo la parola fine alla sempre più diffusa e incontrastata pratica del fisco di bollare qualunque strategia commerciale come elusiva pur di ottenere il recupero d’imposta.   D’ora in avanti, come afferma la stessa disposizione, l’elusione fiscale non sarà più perseguibile penalmente, ma solo con una sanzione amministrativa (per maggiori informazioni leggi “Nuovo abuso di diritto ed elusione fiscale”). Ciò vale sia per le imprese che per i professionisti e per tutti i tributi (imposte dirette e Iva). Non solo: la depenalizzazione si applica anche a una lunga serie di ipotesi di evasione, che fino ad oggi hanno procurato, a molti imprenditori in difficoltà economica, lunghi e costosi procedimenti penali. Così, ad esempio, chi ha evaso più di 50mila euro di IVA ma meno di 250mila non sarà più sanzionato penalmente. Stesso discorso dicasi per l’omissione di contributi previdenziali la cui nuova soglia raggiunge i 150mila euro (leggi “Reati fiscali depenalizzati: nuove soglie”).   Una volta uscito di scena dal processo penale l’abuso di diritto, il contribuente potrà essere perseguito solo se ricorrono i presupposti della frode o della evasione fiscale. L’elusione, ormai termine totalmente equivalente all’abuso del diritto, avrà quindi un’applicazione residuale rispetto agli altri illeciti penali.   Nel caso di specie l’imputato ha fatto presente, al giudice del processo penale, dell’intervenuta riforma, che lo ha salvato in zona cesarini; così l’uomo è stato assolto con formula piena, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. In definitiva, spiega la Suprema Corte, la scelta adottata dal legislatore delegato è stata quella di escludere la rilevanza penale delle operazioni costituenti abuso del diritto, quali descritte dalla norma generale, facendo salva, per converso, l’applicabilità a esse delle sanzioni amministrative, ove ne ricorrano in concreto i presupposti.  Nella motivazione della sentenza, la Cassazione fa la sintesi dello stato attuale della legislazione. L’abuso del diritto colpisce le operazioni prive di sostanza economica: sono tali i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Ad esempio la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato. Per vantaggi fiscali indebiti, poi, si intendono i benefici anche non immediati realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali. Diventano così lecite – o almeno sottratte dall’ambito penale – le operazioni commerciali giustificate da non marginali ragioni extrafiscali: in poche parole se il risparmio d’imposta consegue a una strategia anche di ordine organizzativo o gestionale, di imprese e professionisti, l’amministrazione finanziaria non potrà contestare l’elusione.

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