martedì 22 dicembre 2015

Quando si può revocare un assegno

Fonte:  http://www.laleggepertutti.it/

Il correntista può ordinare alla propria banca di non pagare l’assegno bancario che egli ha emesso, ma lo può fare solo dopo il termine di otto giorni dall’emissione dello stesso (se l’assegno è pagabile all’interno dello stesso comune) o di quindici giorni (se è pagabile in altro Comune). In pratica, se il creditore che ha in mano l’assegno (cosiddetto prenditore) si reca allo sportello per il pagamento del titolo, e lo fa entro tale forbice di tempo (8 o 15 giorni), la banca deve ottemperare al suo ordine e deve pagarlo immediatamente; allo stesso modo, se non ci sono fondi, l’assegno deve essere protestato.



Al contrario, se il creditore non si è recato in banca negli 8 o 15 giorni dalla sua emissione, il traente (cioè il debitore) ha il diritto di revocare l’assegno e la banca non solo è obbligata a tenere conto della suddetta revoca disposta dal proprio cliente ma, se non lo fa, deve risarcirgli il danno. E ciò vale anche in presenza di fondi sul conto corrente.
Lo ha stabilito la Cassazione, con una recente sentenza [1].

La Corte ricorda che l’ordine del correntista, impartito alla propria banca, di non pagare un assegno già emesso ha effetto solo alla fine del termine di presentazione: otto o quindici giorni, a seconda che l’assegno si paghi su piazza (cioè nello stesso Comune) o fuori piazza (in altro Comune).

La vicenda
La vicenda riguardava la causa intentata da un correntista del Banco di Sicilia che chiedeva il risarcimento dei danni per l’asserito illegittimo protesto di un assegno bancario che ne avrebbe determinato il fallimento.

Se nel conto non ci sono soldi
L’ordine del correntista di non pagare l’assegno, impartito alla propria banca nei primi otto o quindici giorni, non può essere motivato neanche dal fatto che nel conto non vi sia sufficiente provvista per pagarlo. Se l’assegno, infatti, è “scoperto”, scatta il protesto per mancanza di fondi (salvo la procedura di insoluto a prima presentazione che impone un previo avviso per rientrare immediatamente nella scopertura di conto).

Se la revoca avviene dopo il termine
Diverso è il discorso se la revoca dell’assegno bancario avviene dopo il termine di 8 o 15 giorni: se il creditore non si è ancora recato in banca, quest’ultima non deve rispettare la volontà del proprio cliente.

In pratica, spiega la Corte, il superamento del termine comporta solo il potere del traente di revocare l’assegno con effetto vincolante per la banca.
Prima della detta scadenza la banca non deve tener conto della revoca disposta dal cliente, dovendo al contrario provvedere al pagamento se vi sono fondi disponibili, atteso che la legge mira ad assicurare un’affidabile circolazione del titolo e a garantire l’esistenza dei fondi dal momento dell’emissione dell’assegno fino alla scadenza del termine di presentazione.

Che può fare il creditore
Se l’assegno viene revocato, il creditore resta sempre in mano di un titolo di credito esecutivo. Questo significa che egli può:

– nei primi sei mesi, agire direttamente con il pignoramento nei confronti del debitore, senza bisogno di intraprendere prima cause o ricorsi per decreto ingiuntivo. Difatti, l’assegno è già esso stesso un titolo esecutivo. Dunque, previa notifica di un atto di precetto, il creditore potrà già valersi dell’ufficiale giudiziario (attraverso un proprio avvocato) e procedere all’esecuzione forzata;
– dopo la scadenza dei sei mesi, il creditore deve procedere con la richiesta di un decreto ingiuntivo (l’assegno resta infatti una promessa di pagamento scritta anche quando non è più titolo esecutivo).


[1] Cass. sent. n. 15266/2014.
[2] Artt. 32 e 35 della cosiddetta legge assegno bancario (Rd 1736/1933).

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