martedì 14 giugno 2016

ROTTAMAZIONE DELLE ESECUZIONI GIUDIZIARIE ANTIECONOMICHE





Le  recenti modifiche riguardanti il pacchetto Giustizia emanate dal Governo con il DL n. 132 del 12.09.2014 convertito in legge n. 162 del 10.11.2014, hanno suscitato un vespaio di critiche da molti fronti, in quanto le novità sono apparse subito farragginose, di difficile applicazione e comunque in alcuni casi di scarsa rilevanza pratica.
Tuttavia del marasma della normativa si scopre un minuscolo articolo (l'art. 164 bis) che potrebbe avere una applicazione di estremo interesse e importanza per la tutela del debitore.







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La norma di cui trattasi è l'art. 164 bis il quale prevede che se il giudice ravvisa l'impossibilita' di conseguire un ragionevole soddisfacimento delle ragioni dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene, e delle probabilità di realizzo, DISPONE LA CHIUSURA ANTICIPATA DEL PROCESSO ESECUTIVO.
Si tratta di una novità di tutto rilievo che rischia di far chiudere definitivamente migliaia di vecchie procedure di esecuzione forzata, avviate tramite il pignoramento di case e immobili vari (terreni, fabbricati, quote di comproprietà su beni indivisi, ecc.).
La "rottamazione" delle vecchie pratiche di esecuzione ha un sua base di giustizia perchè lo scopo è quello di non permettere la "svendita" di beni sottoposti alle aste, favorendo indirettamente la speculazione.
Un esempio servirà meglio a capire.
Mettiamo che Tizio abbia un debito con la banca di 100mila Euro. Quest’ultima, pertanto, gli pignora la casa del valore di 200mila Euro, con la speranza di poterla vendere e soddisfare quanto non ancora incassato. Se, per ipotesi di scuola, si riuscisse a vendere l’immobile al reale valore di mercato (200mila Euro), si avrebbe una perfetta situazione di giustizia: la banca otterrebbe i suoi 100mila euro e il residuo della vendita (gli altri 100mila Euro) andrebbero al debitore che li potrebbe usare per acquistare una nuova casa ove andare a vivere.
Ma questa è un’ipotesi virtuale, che quasi mai ricorre. Molto più spesso, gli interessati all’acquisto di un immobile tramite il tribunale attendono che si svolgano più aste e che le stesse “vadano deserte” (ossia non si presenti nessuno), in modo che, ad ogni successivo passaggio, il giudice faccia scendere sempre più la “base d’asta”. Potrebbe allora verificarsi, per ipotesi (anche questa ipotetica) che, a seguito di numerosi ribassi, la casa venga venduta a 30mila Euro.  Un caso simile è balzato alla cronaca proprio pochi giorni fa.
Risultato: la banca rimarrà ancora creditrice di 70mila euro, il debitore rimane senza casa e il suo sacrificio non gli è valso neanche la possibilità di liberarsi dal debito, poiché la banca potrà continuare ad aggredirlo fino a totale soddisfazione.
Insomma: la compressione del diritto (alla proprietà) del debitore non può mai pregiudicare in modo irragionevole i suoi diritti della persona.
Questo principio è stato ribadito anche la Corte di Giustizia europea in una recente sentenza che riguardava un caso diverso. La sentenza, che abbiamo pubblicato sul sito, ha riaffermato l'esigenza di tutelare il diritto alla casa del debitore in particolari condizioni di disagio sociale.
Quindi, riassumendo ora  il giudice ha la possibilità, attraverso l'applicazione dell'art. 164 bis della Legge 162/2014, di chiudere l'esecuzione infruttuosa e il debitore rientrerà nella disponibilità della sua abitazione, o delle sue cose.
Il  debito non sparisce, ma il debitore avrà migliori possibilità di vendere successivamente i suoi beni a prezzi di mercato e pagare il debitore senza essere massacrato dalla speculazione.

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