mercoledì 1 giugno 2016

Niente più assegno di mantenimento alla donna separata

Fonte: Laleggepertutti.it


«Giustizia è fatta» diranno alcuni uomini che, da anni, versano l’assegno di mantenimento all’ex moglie; meno contente invece saranno quelle donne che, invece, si stanno per separare e che non potranno più contare sul tradizionale orientamento della giurisprudenza più flessibile nell’accordare generosi assegni.



Va infatti tramontando l’idea di un mantenimento a lungo inteso più come “un’assicurazione a vita” che non come una misura assistenziale limitata al tempo strettamente necessario per recuperare una propria autonomia economica. Aumenta, infatti, il numero delle sentenze della Cassazione che, nel determinare l’ammontare dell’assegno mantenimento, danno rilievo a una serie di fattori ed elementi capaci di sgonfiare l’importo, fino ad azzerarlo completamente. Forse è troppo presto per parlare di tramonto definitivo, ma di certo qualcosa sta cambiando, e anche rapidamente.








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Pesa la casa familiare assegnata alla ex moglie
La prima sentenza è stata resa nota proprio di questi giorni anche se risale a fine 2015 [1]. Secondo il Tribunale di Roma, il giudice può negare il mantenimento alla moglie se questa vive all’interno della ex casa familiare mentre il marito, costretto ad andare via dall’abitazione un tempo anche sua e, per di più a pagare anche le rate del relativo mutuo, è costretto a trovare un altro alloggio in affitto. Insomma, l’aumento delle spese per l’uomo, conseguenti alla separazione, fanno sì che questi – a meno che non abbia un reddito particolarmente alto – sia quantomeno esentato dal versare anche l’assegno di mantenimento.



Secondo la tesi del Tribunale di Roma, la sproporzione dei redditi tra i due ex coniugi – condizione necessaria per far scattare l’obbligo al mantenimento – può essere compensata dal fatto che la donna non debba sostenere costi per l’abitazione mentre, nello stesso tempo, il marito deve provvedere al pagamento della rata del mutuo della casa in cui lei vive coi figli e, per di più, a trovarsi un altro tetto sotto cui vivere.



Peraltro – ricorda sempre la stessa sentenza – l’assegnazione della casa coniugale in favore della moglie viene meno non appena questa abbandoni l’immobile per andare a vivere altrove o presso i propri genitori.





Niente mantenimento alla donna casalinga che può lavorare
Non perché prima era casalinga, la donna separata deve essere mantenuta a vita dal marito, senza che questa senta neanche l’impellenza di trovarsi un lavoro per mantenersi con le proprie forze. Con queste parole potrebbe sintetizzarsi un’altra importante presa di posizione della Cassazione [2], secondo cui solo lo stato di effettivo bisogno è meritevole dell’assegno di mantenimento. Al contrario, la donna giovane, ancora “abile” al lavoro e, quindi, in grado di reperire un proprio reddito che le garantisca un tenore di vita più o meno simile a quello goduto durante il matrimonio, non ha diritto alla stessa tutela. E ciò vale anche se la moglie durante il matrimonio si occupava solamente della casa, svolgendo le mansioni di casalinga.

Almeno quando ciò è possibile, i due ex coniugi devono tentare di badare a sé stessi da soli, senza costituire un peso per l’altro. Quindi, sebbene in prima istanza ben potrà essere possibile che il giudice accordi un mantenimento alla donna con reddito nettamente più basso, al fine di garantirle una continuità con il procedente tenore di vita, laddove venga constatata la sua completa inattività all’obbligo sociale di cercare un lavoro, tale assegno può essere ridotto o azzerato.



Il panorama delle sentenze che valorizzano la capacità lavorativa della donna e le sue potenzialità economiche sta poco alla volta ampliandosi. Per un elenco di tutte le pronunce favorevoli al marito leggi: “Divorzio: addio al mantenimento della moglie”.

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