venerdì 29 gennaio 2016

Il lavoro accessorio: limiti e novità del Jobs Act

Il lavoro accessorio: limiti e novità del Jobs Act
Fonte:  www.laleggepertutti.it


Nuovi limiti per il lavoro occasionale: il compenso, infatti, non deve superare il limite di € 7.000 nel corso di un anno, da rivalutare annualmente (precedentemente il limite era di € 5.000).

Il lavoro occasionale di tipo accessorio è una particolare modalità lavorativa, che esula dallo schema tipico del lavoro subordinato, della collaborazione o del lavoro autonomo.


Il lavoro accessorio è stato introdotto dal D.Lgs. 276/2003, al fine di dare un’apposita configurazione giuridica e una minima tutela previdenziale e assicurativa ad attività lavorative rese normalmente al di fuori di ogni schema contrattuale e quindi prive di ogni forma di tutela.

Nella disciplina originaria, le attività che potevano essere svolte con la formula del lavoro accessorio erano tassativamente indicate dalla legge, tra cui rientravano, oltre alle attività agricole stagionali, ad esempio, i lavori domestici, i lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, l’insegnamento privato supplementare.

Inoltre, il lavoro occasionale accessorio è stato per lo più limitato a determinati soggetti, espressamente individuati, per consentirne l’inserimento nel mercato del lavoro. Erano legittimati a svolgere lavoro accessorio coloro che, per una propria specifica o temporanea condizione, si presumeva non avessero interesse ad un’occupazione ordinaria (casalinghe, studenti e pensionati), e i cd. soggetti socialmente deboli (disabili, persone in comunità di recupero, lavoratori extracomunitari) che erano considerati di difficile occupabilità.

La disciplina del lavoro accessorio è stata completamente ridefinita dal D.Lgs. 81/2015 (artt. 48-50) che ha introdotto nuove disposizioni in sostituzione di quelle del D.Lgs. 276/2003, ora abrogate.


Il campo di applicazione

Il D.Lgs. 81/2015, perseguendo l’indirizzo degli ultimi interventi legislativi, determina un ampliamento del campo di applicazione del lavoro accessorio.

Si può fare ricorso al lavoro accessorio in tutti i casi di attività lavorative e in tutti i settori produttivi.

Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio è ammesso anche per le Pubbliche Amministrazioni, nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.

Il lavoro accessorio è vietato soltanto negli appalti di opere e servizi, salvo specifiche deroghe che potranno essere introdotte con decreto del Ministero del Lavoro, da adottare sentite le parti sociali.

Il lavoro accessorio può essere svolto da qualsiasi soggetto e per qualsiasi tipologia di attività.

Come nella disciplina previgente, l’unico limite resta di ordine economico e opera nei confronti del lavoratore.

Il D.Lgs. 81/2015 eleva l’importo-limite: il compenso derivante dal lavoro accessorio, infatti, non deve superare, con riferimento alla totalità dei committenti, il limite di € 7.000 nel corso di un anno (civile), da rivalutare annualmente (precedentemente il limite era di € 5.000). Il valore lordo del compenso è pari a e 9.333 (circ. INPS 149/2015).

Se il lavoro accessorio è svolto nei confronti di imprenditori o professionisti, deve essere osservato, in aggiunta al limite di e 7.000, un ulteriore limite che vale nei confronti del soggetto che utilizza prestazioni di lavoro accessorio. Il limite, nei confronti del singolo committente, è di € 2.000 all’anno, da rivalutare annualmente (l’importo è lo stesso della disciplina precedente).

L’importo nell’anno 2015 rivalutato è pari a e 2.020 (lordo e 2.693) (circ. INPS 149/2015).

Nel caso in cui il committente è un imprenditore o libero professionista, il lavoratore ha, quindi, un doppio limite: complessivo annuo, di € 7.000, e verso il singolo committente, di € 2.000 (v. Tab. 11).

Raggiunto il limite (o i limiti), il lavoratore non può più effettuare prestazioni di lavoro accessorio e l’attività deve essere dedotta in un normale contratto di lavoro (subordinato o autonomo).
Per contro, i datori di lavoro non hanno alcun limite.

Con la riforma operata dal D.Lgs. 81/2015, si rende strutturale la misura speciale per i soggetti fruitori di ammortizzatori sociali, che era stata attuata in via sperimentale nel 2013 e nel 2014.

In pratica, anche tali soggetti sono legittimati ad effettuare prestazioni di lavoro accessorio.

Il soggetto sospeso da lavoro o disoccupato, percettore dei relativi trattamenti a sostegno del reddito (integrazioni salariali, indennità dell’assicurazione sociale per l’impiego, indennità di mobilità etc.), può svolgere lavoro accessorio nel limite di € 3.000 (e 4.000 lordo) di corrispettivo per anno civile (v. Cap. 4 e 6).


Nel settore agricolo, il ricorso al lavoro accessorio è ammesso:

— per le attività agricole di carattere stagionale svolte da determinate categorie di soggetti (pensionati e giovani con meno di 25 anni di età, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università);

— per le attività agricole svolte a favore di produttori agricoli con volume d’affari annuo non superiore a € 7.000.


Modalità operative

Per le tipologie del lavoro accessorio non c’è l’obbligo di stipulare un contratto, né di assumere il lavoratore, né di inquadrarlo, come normalmente avviene nel rapporto di lavoro subordinato.

Il ricorso, da parte delle imprese, al lavoro accessorio avviene con le particolari modalità definite dalla legge, basare sul meccanismo dei buoni di lavoro o voucher.

Il committente deve provvedere ad acquistare i buoni; il committente imprenditore o professionista effettua l’acquisto esclusivamente per via telematica (cd. vaucher telematico), mentre il committente che non abbia tali qualifiche può acquistare i buoni anche presso le rivendite autorizzate (sino ad ora, tabaccai, banche abilitate, uffici postali di tutto il territorio nazionale).

Prima dell’inizio della prestazione, il committente imprenditore o professionista deve effettuare un’apposita comunicazione alla DTL; la comunicazione avviene per via telematica (compresi sms e mail) e deve recare i dati anagrafici e il codice fiscale del prestatore di lavoro, e il luogo dove si svolgerà l’attività lavorativa con riferimento ai 30 giorni successivi.

Secondo le regole operative in uso, la procedura presuppone che sia il committente che il prestatore si accreditino presso l’INPS: il committente, prima dell’inizio dell’attività di lavoro accessorio, richiede all’INPS i buoni e provvede a versare l’importo dei buoni acquistati; il prestatore riceve dalle Poste Italiane, a cui sono stati inviati i suoi dati, una carta (INPS card) su cui vengono accreditati i compensi. La procedura telematica, recentemente semplificata, consente «una gestione organizzata per liste di prestatori, con riferimento alle quali si può effettuare sia l’inserimento delle prestazioni di lavoro (con contestuale invio della comunicazione di inizio prestazione all’INAIL) che la consuntivazione di tutti i rapporti di lavoro relativi ai lavoratori inseriti nella lista, tramite un’unica operazione» (msg. INPS 5000/2014).

Il compenso è versato al lavoratore, previa presentazione dei buoni, da appositi concessionari; fino a nuova definizione con decreto ministeriale, essi sono l’INPS e le agenzie per il lavoro.

I buoni di lavoro sono orari, numerati progressivamente e datati, ed hanno valore nominale di € 10 (come nella precedente disciplina), comprensivo della quota da versare a titolo contributivo, assicurativo e di gestione del servizio. Dal compenso il concessionario detrae, infatti, la quota a titolo di rimborso spese e gli importi che versa a titolo di contribuzione previdenziale e assicurativa, calcolati applicando le seguenti percentuali al valore nominale del buono: 13% per i contributi INPS, da versare alla Gestione separata, 7% ai fini assicurativi (INAIL).

L’importo netto del buono costituisce il compenso per la prestazione lavorativa ed è esente da imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore.

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