martedì 28 aprile 2015

Reato chiedere soldi per non divulgare il contenuto di messaggi


Reato chiedere soldi per non divulgare il contenuto di messaggi
Estorsione o esercizio abusivo delle proprie ragioni: in ogni caso è vietato chiedere un risarcimento per non spifferare ad altri comunicazioni offensive e dai toni forti.

Mettiamo che un conoscente vi invii dei messaggi offensivi o dal tono “esplicito”, con riferimenti sessuali assai volgari. Vi sentite giustamente lesi nel vostro onore; tuttavia, invece di andare a denunciare l’episodio alle autorità o di ricorrere al giudice civile per il risarcimento del danno, agite da soli e chiedete una somma di denaro come prezzo per non spifferare agli altri il contenuto scomodo di tali messaggi.


Per quanto paradossale vi possa sembrare, non state esercitando i vostri diritti, nonostante la controparte si sia macchiata di un comportamento illecito. L’unica vostra facoltà, in questi casi, è procedere attraverso la magistratura. Quello che state commettendo, al contrario, è un reato che, secondo una recente sentenza del tribunale di Trento [1], si qualifica come “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”.

La sottile linea di differenza con l’estorsione
Diversa cosa è l’estorsione che si ha, invece, quando la richiesta di denaro per non rilevare il contenuto dei messaggi è ingiusta. Si pensi a un semplice complimento rivolto a una donna o alle avances discrete, cui segua la minaccia di rivelarle alla moglie dell’autore, se non viene corrisposta una somma; si pensi al ricatto di mostrare a tutti le foto di un nudo in spiaggia o di una relazione, ecc. In tali casi, il colpevole persegue un obiettivo ingiusto per il conseguimento di un proprio profitto.

Al contrario, quando si chiede denaro solo a scopo risarcitorio e di indennizzo per il tono dei messaggi subìti e per le offese ricevute, la condotta è perseguita non allo scopo di attuare un ricatto, ma nella convinzione (non corretta, comunque) di esercitare un proprio diritto o di soddisfare una pretesa che, altrimenti, potrebbe essere oggetto di richiesta al giudice.

Insomma, se nel primo caso (estorsione) si chiede del denaro cui, altrimenti, non si avrebbe diritto in nessuna aula di tribunale, nel secondo caso (esercizio arbitrario delle proprie ragioni), invece, se solo ci si rivolgesse al giudice, si vedrebbe tutelato il proprio diritto, ma ciò nonostante l’agente preferisce ugualmente bypassare il magistrato e farsi giustizia da sé. Tale condotta, per il nostro ordinamento, è considerata comunque un reato (ma meno grave rispetto al primo).

Note

[1] Trib. Trento sent. n. 811/2014.

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