giovedì 4 febbraio 2016

Cartella di pagamento: la prescrizione di cinque anni

Fonte:  laleggepertutti.it




Non è vero, come comunemente si dice, che tutte le cartelle esattoriali notificate da Equitalia si prescrivono nello stesso tempo e che tale termine è di 10 anni. Al contrario, la giurisprudenza è arrivata a chiarire più volte che la prescrizione ha termini differenti a seconda del credito preteso con la cartella stessa. Quindi, tutto dipende da quale sia l’ente creditore e del tipo di tributo o di sanzione fatto valere. Per verificare ciò è sufficiente controllare la pagina della cartella contenente l’analitico elenco delle causali delle somme richieste. In tale dettaglio viene elencato, per esempio, il tipo di imposta, l’anno di riferimento in cui vi è stata l’evasione, l’importo, gli interessi. Se manca tale elencazione la cartella è nulla.

Alcune cartelle di pagamento si prescrivono in cinque anni. In buona sostanza, se dopo la notifica della cartella stessa non viene compiuto alcun atto di esecuzione forzata da parte di Equitalia, quest’ultima non può più procedere a pignoramenti, fermi o ipoteche. Insomma, per usare un lessico volgare, la cartella “scade” e non può più rivivere. Se però, nell’arco di tale termine, Equitalia ha inviato un sollecito di pagamento o un preavviso di fermo o di ipoteca con il quale specifica a quali omissioni di pagamento si riferisce, rinnovando la richiesta di pagamento, il termine di prescrizione si interrompe e ricomincia a decorrere da capo. Per esempio se, con riferimento a una cartella, la cui prescrizione quinquennale si compie nel 2016, Equitalia invia un sollecito di pagamento nel 2015, la prescrizione avverrà non più nel 2016 ma nel 2020. È chiaro che, in questo modo, la prescrizione potrebbe non compiersi mai se, in prossimità di ogni scadenza, l’agente per la riscossione provvede tempestivamente a inviare un sollecito.


Quali cartelle di pagamento si prescrivono in cinque anni?

Le cartelle esattoriali che si prescrivono nel termine breve di cinque anni sono quelle che riguardano:

– contributi Inps e Inail successivi al 1° gennaio 2016;
– contributi previdenziali per la gestione separata;
– contributi minori;
– imposte locali come Tasi, Tarsu, Tari, Ici, Imu;
– multe stradali;
– sanzioni per omesso o ritardato versamento di contributi
– altre sanzioni.

Tutte le altre cartelle si prescrivono sempre in 10 anni (così Irpef, Iva, Ires, Imposta di registro, Canone Rai, diritti camera di commercio). Fa eccezione solo il bollo auto che si prescrive in 3 anni.

Per avere un maggiore dettaglio sulle scadenze delle cartelle di pagamento e sulle strategie difensive leggi la guida “Cartelle di pagamento: termini di prescrizione”.


Se fai opposizione, la prescrizione passa da 5 a 10 anni

Attenzione: nel caso in cui il contribuente faccia opposizione contro una cartella la cui prescrizione è di cinque anni, e perda la causa, per cui la cartella venga sostituita dalla sentenza di condanna del giudice, la prescrizione passa da 5 a 10 anni. In buona sostanza, in questi casi, si applica la prescrizione lunga degli atti giudiziari.

Il consiglio, quindi, in prossimità della scadenza di una cartella di pagamento, potrebbe essere quello di attendere la prescrizione piuttosto che giocarsi la carta del ricorso al giudice se questa è incerta e non garantisce solide speranze di vittoria.



Consigli pratici

Se tra le vecchie cartelle di pagamento ve ne sono alcune che risultano prescritte o hai chiesto un estratto conto a Equitalia e, tra i vari importi non pagati ne risultano alcuni che risalgono a diversi anni fa, la cosa più semplice da fare è inviare a Equitalia e all’ente titolare del credito un’istanza in autotutela chiedendo lo sgravio. La richiesta può essere inviata con Pec (posta elettronica certificata) o con raccomandata a.r.
Purtroppo abbiamo sperimentato che spesso queste istanze non vengono prese in considerazione, per quanto il cittadino vanti un diritto soggettivo alla cancellazione dei debiti scaduti. Così avvengono situazioni paradossali in cui Equitalia risponde sostenendo che la competenza non è sua, e altrettanto fa l’ente creditore. Nessuno dei due, però, alla fine, fa il dovuto sgravio.
L’alternativa è quella di attendere il successivo atto di Equitalia (per esempio un sollecito di pagamento, un preavviso di ipoteca, di fermo, un pignoramento) e impugnare quest’ultimo. Questi sono i paradossi di un Paese dove la pubblica amministrazione, invece di collaborare con il cittadino, è suo antagonista.

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