giovedì 7 aprile 2016

Pignoramento stipendio: il quinto vale sempre?

Fonte:  laleggepertutti.it




Il pignoramento dello stipendio avviene sempre entro massimo un quinto, che si calcola sull’intera retribuzione, al netto delle ritenute fiscali.
Se per le pensioni il pignoramento del quinto avviene dopo aver sottratto il cosiddetto “minimo vitale” – una somma cioè intangibile per garantire un sostentamento dignitoso anche al debitore – questo non vale, invece, per i lavoratori dipendenti. È quanto chiarito dalla Corte Costituzionale questa mattina [1].



Il minimo vitale delle pensioni

Una recente riforma ha definito cosa debba intendersi per “minimo vitale”, quale sia tale importo e, quindi, come debbano essere calcolati i nuovi pignoramenti. In pratica, tutte le volte in cui la pensione viene pignorata presso l’Istituto previdenziale (Inps), il pignoramento può avvenire seguendo questi due passaggi:

detraendo dal netto della pensione il minimo vitale. Il minimo vitale è pari alla misura dell’assegno sociale (euro 448,51), aumentato della metà (euro 224,25); esso quindi ammonta a euro 672,76;
sulla differenza così ottenuta va calcolato 1/5 (un quinto).

L’importo che ne deriva è quello che spetta al creditore che ha agito con il pignoramento presso terzi.

Solo per completezza, si segnala che questa regola non vale più se la pensione viene accreditata sul conto corrente. In tal caso, si seguono le due seguenti istruzioni:

per le somme che si trovano già accreditate sul conto alla data del pignoramento è possibile il “blocco” solo per quelle che superano l’ammontare di 1.345,54 (ossia il triplo dell’assegno sociale);
per le successive mensilità di pensione che verranno erogate successivamente, il pignoramento è di massimo 1/5.


Il pignoramento dello stipendio

Nel caso in cui il pignoramento dello stipendio avvenga una volta accreditato sul conto corrente, valgono le stesse regole appena viste per le pensioni.
Invece, nel caso in cui il pignoramento avvenga presso il datore di lavoro, esso è sempre nella misura di un quinto, senza tuttavia detrarre, in questo caso, il minimo vitale come invece avviene per i pensionati.

Secondo un pensiero ormai costante della Corte Costituzionale questa differenza di trattamento è più che legittima. La norma contempera l’esigenza del creditore di ottenere il pagamento nel più breve tempo con la necessità del debitore di mantenere un tenore di vita dignitoso. Proprio per questo la previsione di una percentuale per il pignoramento (pari appunto al 20%, ossia un quinto) gradua il sacrificio in misura proporzionale all’entità della retribuzione. Chi ha una retribuzione più bassa, infatti, è colpito in misura proporzionalmente minore: non è vero, quindi, che siano stati sacrificati gli stipendi e i salari più esigui solo perché non esclusi dal pignoramento.

La scelta del criterio di limitazione della pignorabilità e l’entità di detta limitazione rientrano, per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, nel potere insindacabile del legislatore.

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