giovedì 7 aprile 2016

Recupero crediti per creditore e debitore

Fonte;   laleggepertutti.it


La parola recupero crediti evoca scenari spesso desolanti sia per i creditori che per i debitori: i primi afflitti dall’inefficienza dei sistemi giudiziali, dai costi elevati e dall’incertezza delle procedure esecutive; i secondi, invece, dal timore di doversi difendere dall’intervento dell’ufficiale giudiziario o da un pignoramento, eventualmente ricorrendo alla consulenza di un avvocato quando spesso non si hanno neanche i soldi per pagare il proprio debito.
Si sente spesso dire che l’ordinamento tutela più i debitori che i creditori: è vera questa affermazione? Esistono strumenti di tutela contro i nullatenenti? È davvero così facile spogliarsi dei proprio beni? Che valore hanno gli assegni e le cambiali? Quanto tempo ci vuole per un recupero crediti? Che differenza c’è tra un recupero giudiziale e uno stragiudiziale? A questa e a tante altre domande cercheremo di dare risposta in questa breve guida, iniziando proprio da quest’ultimo quesito.



Che differenza c’è tra recupero crediti giudiziale e stragiudiziale?

Spesso si sente parlare di recupero crediti giudiziale e di recupero stragiudiziale: si tratta di due metodologie diverse, entrambe con propri vantaggi e svantaggi.
Come suggerisce la parola stessa, il recupero crediti giudiziale avviene attraverso gli strumenti processuali, ossia con un ricorso al giudice e la successiva fase di esecuzione forzata e pignoramento; il recupero stragiudiziale, invece, si realizza attraverso modalità di coercizione differenti, ma sicuramente meno efficienti ed incisivi, come le lettere di diffida, le telefonate dei call center, ecc: insomma, con tutto ciò che non ha a che fare con il giudice.

Il creditore non è tenuto a rispettare precise scansioni temporali, ben potendo agire direttamente in via giudiziale, o riservarsi solo la via stragiudiziale (di certo più economica), o tentare con entrambe le strade.

Il vantaggio del recupero crediti giudiziale è certamente il fatto che esso consegna, nelle mani del creditore, un titolo esecutivo, ossia un ordine del giudice a pagare, ordine che può dar poi vita all’esecuzione forzata. È tuttavia una procedura spesso lunga e costosa.

Il recupero crediti stragiudiziale è, invece, certamente più immediato, non deve essere affidato necessariamente ad un avvocato e i costi sono spesso parametrati all’esito del recupero. Non sono poche, infatti, le società di recupero che prendono una percentuale solo sul recuperato.


Come avviene il recupero crediti giudiziale?

Il recupero crediti mediante l’intervento del tribunale viene, di norma, realizzato con il ricorso per decreto ingiuntivo tutte le volte in cui vi sia una prova scritta del credito. Sono prove scritte, in primo luogo, i contratti, gli ordini di acquisto controfirmati dall’acquirente, le fatture, le bolle di consegna, le promesse di pagamento fatte dal debitore o la sua ammissione di debito. Per sentenze, assegni e cambiali il discorso è diverso e ne parleremo successivamente.

In tutti questi casi il creditore presenta la prova scritta in tribunale o, per crediti fino a 5.000 euro, al giudice di Pace. Il magistrato controlla tali documenti ed emette un’ingiunzione di pagamento (cosiddetto decreto ingiuntivo) che il creditore deve notificare al debitore. La notifica deve avvenire entro 60 giorni dall’emissione (pena la nullità del decreto) e si fa con l’ufficiale giudiziario (che può anche valersi del servizio postale, ma in tal caso la busta sarà di colore verde) o con posta elettronica certificata per chi sia tenuto a dotarsene (imprese e professionisti).

Con il decreto ingiuntivo vengono addossati al debitore anche le spese legali per tale fase, che sono determinate dal giudice e si possono leggere nel decreto stesso. Il loro ammontare varia a seconda dell’importo del debito e, di norma, si aggira tra il 20 e il 30%.

Entro 40 giorni dal ricevimento del decreto ingiuntivo, il debitore può decidere di presentare opposizione e instaurare una causa regolare. L’opposizione deve necessariamente avvenire attraverso la difesa di un avvocato.
In caso contrario, il decreto ingiuntivo diviene definitivo e non più opponibile. Il debitore dovrà allora pagare, pena il rischio di subire un pignoramento. In verità, prima del pignoramento, il creditore deve notificare l’atto di precetto.


Cos’è l’atto di precetto?

L’atto di precetto è l’ultima intimazione ad adempiere effettuata dal creditore prima dell’esecuzione forzata. Con la notifica di tale atto si dà al debitore un ulteriore termine di 10 giorni per pagare: in mancanza di adempimento spontaneo, si potrà avviare il pignoramento. Dopo 90 giorni, però, il precetto scade; pertanto, se il creditore intenderà agire dovrà notificarne uno nuovo.

Riassumendo: il precetto anticipa il pignoramento ed è un atto necessario prima di esso; tuttavia il pignoramento non può avvenire né prima di 10 giorni dalla sua notifica, né oltre 90.

Come con il decreto ingiuntivo, anche con il precetto vengono addebitate sul moroso le spese legali, in questo caso determinate non dal giudice, ma dall’avvocato che ha scritto l’atto, secondo delle tabelle ministeriali.


Come si difende il debitore dal decreto ingiuntivo?

Se il debitore non intende proporre opposizione perché non può permettersi il giudizio o perché, comunque, ritiene il debito dovuto, può sempre contattare il creditore e offrirgli una soluzione a saldo e stralcio: ossia una decurtazione di una parte del debito a fronte dell’immediato pagamento. In alternativa, si può chiedere una dilazione del pagamento. Di norma, il creditore è concede o l’una o l’altra soluzione: difficilmente è disposto a tagliare il debito e a riceverlo a rate, salvo che queste ultime siano poche e ravvicinate.

All’esito dell’accordo è necessario che le parti si scambino una dichiarazione in cui concordano l’accordo transattivo e in cui si stabilisca che il debito viene decurtato di una parte del proprio ammontare e/o che lo stesso verrà restituito a rate, durante il cui pagamento il creditore si impegna a non agire con un pignoramento.


Come avviene il recupero crediti stragiudiziale?

La forma più diffusa è quella dell’invio di una lettera di diffida e messa in mora che ha anche l’effetto di interrompere la prescrizione. In essa si danno al debitore dei termini entro cui effettuare il pagamento. Detti termini, però, non sono perentori e, nel caso di inosservanza, non scatta in automatico alcuna conseguenza legale se non il rischio che, nel frattempo, il creditore depositi un ricorso per decreto ingiuntivo in tribunale (nel qual caso bisognerebbe rimborsare i costi per la relativa procedura ormai avviata).

Alla lettera il debitore può decidere di rispondere o meno: nel primo caso, però, la richiesta di una dilazione nel pagamento viene considerata come una ammissione del proprio debito (perché tacitamene ne ammette l’esistenza, chiedendone la rateizzazione). Essa potrebbe essere usata dal creditore per chiedere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (che va pagato appena consegnato, quindi senza il rispetto dei 40 giorni come detto sopra). Per evitare un tale effetto, la lettera del debitore dovrebbe specificare che essa non va intesa come ammissione del debito, ma solo come strumento per tentare una composizione bonaria ed evitare il contenzioso.

Ecco qui di seguito due esempi di lettere: una per il recupero del credito e l’altra per la risposta.



DIFFIDA AD ADEMPIERE
Gent.mo sig…
Via…

Oggetto: diffida ad adempiere
Ad oggi non risulta effettuato il pagamento per l’importo riportato nella fattura n… del… riferita al seguente servizio/bene da lei acquistato… in data…
Oppure
Ad oggi lei non ha onorato l’impegno assunto con il contratto del….
Oppure
L’assegno da Lei consegnato in data …. non è stato pagato e quindi protestato

Ciò premesso, le intimiamo il pagamento della somma di euro…, oltre interessi nella misura di … maturati dal giorno di scadenza del pagamento sino ad oggi. In caso di ulteriore inadempimento si procederà per le vie giudiziali con ulteriore aggravio di oneri a Suo carico.
La presente è valevole anche ai fini dell’interruzione dei termini della prescrizione.
Distinti saluti
Data, firma

RISPOSTA DEL DEBITORE
Spett.le società….
Via….

Oggetto: vostra diffida del ….
In merito alla Vostra richiesta ricevuta in data… relativa al pagamento dell’importo di euro… a titolo di … la presente, che non costituisce ammissione di debito ma solo offerta transattiva al solo fine di evitare uno spiacevole e dispendioso scontro giudiziale, per offrire un pagamento a saldo e stralcio nella complessiva misura di euro…
Oppure
… per offrire un pagamento rateale secondo le seguenti scadenze:
– euro … alla data del …
– euro … alla data del …
– euro … alla data del …
ecc.
Certi di una Vostra risposta positiva, poiché ulteriori sforzi non sarebbero sopportabili dallo scrivente il quale dispone unicamente di un reddito …, si porgono
Distinti saluti
Data, firma



I call center e le società di recupero credito

La classica telefonata dei call center è il tipo di attività che lascia maggiori tempi al debitore ed è volta a costituire solo uno stimolo, a volte più psicologico che effettivo, a pagare in tempi brevi, spiegando al debitore le conseguenze di un eventuale inadempimento.

Il Garante della privacy ha rilevato alcune irregolarità poste in essere dagli operatori:

– visite al domicilio o sul luogo di lavoro;
– telefonate persistenti e ripetute, anche nell’arco della stessa giornata o in orari non lavorativi e di riposo;
– comunicazioni telefoniche il cui contenuto a carattere sollecitatorio è preregistrato, poste in essere senza intervento di un operatore (con il rischio che soggetti diversi dal destinatario vengano a conoscenza del contenuto della chiamata);
– invii di lettere il cui contenuto è facilmente visibile anche da terzi (ad esempio, plichi recanti all’esterno la scritta “recupero crediti” o locuzioni simili)
– lettere il cui contenuto è tale da indurre il destinatario in errore circa il valore e la provenienza dell’intimazione a pagare (usuale è il ricorso a formule quali “preavviso esecuzione notifica” o il richiamo di norme di rito con il riferimento alla futura attivazione di “ufficiali giudiziari”);
– affissioni di avvisi di mora sulla porta del debitore;
– telefonate ad amici, parenti e vicini di casa per conoscere i numeri di telefono privati del debitore, ecc.

Per maggiori approfondimenti sui poteri e sugli abusi dei call center leggi “Società di recupero crediti: come difendersi”.


Assegni, cambiali e sentenze

Per assegni e cambiali valgono regole parzialmente diversi. Essi sono già titolo esecutivo, al pari di una sentenza o di un decreto ingiuntivo: in particolare l’assegno mantiene tale qualità per 6 mesi dall’emissione e la cambiale per tre anni. Entro tale termine, assegno e cambiale possono consentire di bypassare la procedura giudiziale e procedere direttamente alla notifica dell’atto di precetto.
Stesso discorso vale per le sentenze, anch’esse titolo esecutivo, che quindi consentono, previa notifica del precetto (che può essere allegato alla stessa sentenza notificata al debitore) di avviare il pignoramento.


Contro il pignoramento si può fare opposizione?

Una volta avviato il pignoramento è possibile ugualmente presentare opposizione. Tuttavia, in questo caso, le contestazioni non possono muovere sull’esistenza del debito (eccezioni che, come detto, devono essere fatte valere opponendosi al decreto ingiuntivo nei 40 giorni), ma su eventuali vizi formali o sostanziali del precetto o del pignoramento (per esempio: pignoramento per un debito non proprio; esecuzione forzata su beni impignorabili; difetto di notifica del precetto, ecc.). Fanno eccezione solo i casi di crediti basati su cambiali o assegni, per i quali è consentita l’opposizione anche sull’esistenza del debito stesso.


Quanto tempo dura una procedura di recupero crediti?
È difficile dare una risposta certa e precisa. La durata dipende da tante variabili quali l’eventuale opposizione del debitore, il carico di lavoro del tribunale, la presenza di beni del debitore pignorabili, ecc.

Di norma, nel caso di decreto ingiuntivo non opposto, i termini per il rilascio dell’ingiunzione e la successiva notifica sono di circa 3/9 mesi a seconda del tribunale.

Per l’esecuzione forzata, tutto dipende da quale tipo di procedura si intende prescegliere (v. successiva domanda).


Cosa si può pignorare al debitore?

Tre sono le forme di esecuzione forzata:

il pignoramento dei beni mobili del debitore (per es. quadri, divani, televisore, gioielli, eventuale denaro liquido trovato in cassaforte o nella cassa dell’azienda). Si tratta di una procedura veloce, economica, ma poco sicura. Difatti, dopo il pignoramento i beni devono essere venduti all’asta (salvo che il creditore ne chieda l’assegnazione diretta) e ciò non avviene quasi mai;

il pignoramento dei beni immobili del debitore (per esempio, la casa, un terreno ecc.). La procedura è costosa e lunga (può durare diversi anni). Inoltre anche in questo caso, affinché il creditore si soddisfi, è necessario che il bene, una volta all’asta, venga venduto. Tuttavia è più facile la vendita immobiliare che mobiliare, per via dell’appetibilità sul mercato del bene in questione. Inoltre, l’esistenza di una procedura esecutiva immobiliare costituisce un forte stimolo per il debitore ad adempiere. La prima casa è impignorabile solo se il creditore è Equitalia;

il pignoramento di crediti del debitore (per esempio, lo stipendio, il conto in banca, la pensione, crediti verso clienti). È la procedura più sicura perché, una volta verificata l’esistenza del credito, il pignoramento è certo. La durata dipende dal tribunale e può arrivare anche a 18 mesi. Di recente sono mutate le regole sui pignoramento del conto corrente, della pensione e dello stipendio. Aprire un nuovo conto con una banca diversa non cancella il pignoramento in corso. Per sbloccare il conto corrente è necessario attendere il decreto di assegnazione delle somme emesso dal giudice. Se il conto è in rosso o è “affidato” non può esservi pignoramento (leggi “Come evitare il pignoramento del conto”).


Cosa si recupera il credito contro un nullatenente?

Chi non è intestatario di beni non può temere neanche pignoramenti. La sua situazione, tuttavia, deve essere obiettiva e, soprattutto, proiettata anche nel futuro, poiché il creditore potrebbe decidere di agire anche in un secondo momento o contro gli eredi dello stesso. A tal fine egli deve solo inviare una lettera che interrompa la prescrizione ogni 10 anni (per le obbligazioni di tipo contrattuale) o ogni 5 (per quelle che derivano da fatto illecito come, ad esempio, un danneggiamento o un incidente stradale). In tal modo, il debito è suscettibile di durare una vita intera ed è chiaro che, non appena il debitore risulterà intestatario di un bene, il creditore potrà aggredirlo anche a distanza di numerosi anni.


Come sapere se il debitore ha beni intestati?

Di recente, la legge ha introdotto la possibilità per il creditore di accedere all’anagrafe tributaria o dei rapporti finanziari, che sono banche dati utilizzate dal fisco e consentono di scoprire se un soggetto:

è intestatario di redditi di lavoro dipendente e da chi essi sono erogati;
è titolare di altri redditi come pensioni o canoni di locazione (anch’essi pignorabili);
ha un conto corrente e presso quale banca; ha libretti di risparmio o cassette di sicurezza: si tratta di beni tutti pignorabili;
è titolare di sovvenzioni o altri tipi di crediti pignorabili;
è titolare di obbligazioni o azioni;


Quando scade un debito?

La scadenza di un debito viene detta prescrizione. La legge prevede termini diversi a seconda del tipo di credito. La regola generale è che la prescrizione si compie dopo dieci anni. Per cui, decorso tale termine, nulla è più dovuto. Viene fatta salva, tuttavia, la possibilità che il creditore invii una lettera che interrompa la prescrizione (una diffida di pagamento, una messa in mora, un precetto) o avvii l’azione giudiziale: in tal caso il termine si interrompe e inizia a decorrere da capo.

Per alcuni tipi di credito, i termini di prescrizione sono più brevi. Ad esempio:

– cinque anni: i crediti previdenziali; le somme per affitto per locazione di immobili; le somme di denaro dovute a titolo di risarcimento del danno (salvo che il danno derivi dall’inadempimento di un contratto nel qual caso il termine resta di dieci anni); i crediti derivanti dalla cessazione del rapporto di lavoro, gli interessi; bollette relative a utenze gas, acqua, luce, telefono nonché tutto ciò che deve essere pagato in riferimento all’anno o alla frazione di anno; contravvenzioni stradali;

– tre anni: i diritti dei prestatori di lavoro e le retribuzioni per attività lavorativa di durata superiore ad un mese, contestazioni per danno da viaggio organizzato rovinato; parcella di un professionista; cambiali; bollo auto;

– due anni: i crediti derivanti da sinistri stradali (salvo che si verifichino delle lesioni personali nel qual caso il termine di prescrizione è pari al termine di prescrizione del reato di lesioni personali o di omicidio nei casi in cui si verifichi il decesso); i crediti che derivano da contratti di assicurazione;

– un anno: i compensi riguardanti spedizione, trasporto (se il trasporto inizia fuori dall’UE la prescrizione è di 18 mesi); il diritto al pagamento delle rate dei premi assicurativi; i crediti dei commercianti per la merce venduta a soggetti che non sono a loro volta commercianti; il credito del mediatore per la provvigione; lezioni impartite da insegnanti; rette scolastiche; palestre private;

– sei mesi: fatture e ricevute relative a prestazioni alberghiere (o per servizi di alloggio con o senza pensione)

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